Trovare il nome alle cose

Stamani, prima di ogni cosa, sono andata a camminare in campagna. Il canneto si è agghindato dei fiori lilla della cicoria selvatica. Le lumache, sentendo la pioggia vicina, sono uscite dal verde, hanno attraversato il sentiero lasciandosi dietro le tracce umide di bava. Il campo che l’anno scorso era di girasoli, adesso è pieno di spighe dorate che, in alcuni punti, sono sdraiate per il sonno notturno di qualche animale. I rovi hanno già i loro piccoli fiori rosa pallido e la borragine resiste in certi angoli fitti, vellutata e blu. E poi, sul ciglio del sentiero, certe nuove fioriture viola che richiamano api e farfalle. Tornata a casa sono andata a cercarne il nome. Veccia villosa, si chiama la pianta, un legume coltivato come foraggio, ma che spesso si trova selvatico lungo i camminamenti.
Ho pensato, camminando, a certi cambiamenti che segnano il tempo. Quando si racconta, ricordi prima di quella certa cosa, oppure, fu dopo l’anno del… Ho pensato alle piccole ferite, un punto di sutura che traspare ancora da un tratto nascosto di pelle; al privilegio di accogliere le storie degli altri, di sentire nel petto certe emozioni che risuonano, si riconoscono, imparano da quelle altrui, vibrano insieme. Sentimenti specchio.
Ho pensato alla fortuna e al coraggio di chiamare ogni cosa col proprio nome.
La scrittura mi ha insegnato la precisione, la biologia ha risposto quasi sempre alle mie curiosità. Ciò che di insoluto è rimasto non può cambiare l’accaduto, non lo può peggiorare, non lo può migliorare. Può solo dare pace ai giorni a venire, a patto che gli si trovi un nome. Il più preciso possibile.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante fiore e natura
Veccia villosa – immagine dell’autrice

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