le parole come scarpe
la strada accidentata dalla prima luce
salgo, poi mi sporgo
cado
volo
le parole come scarpe
la strada accidentata dalla prima luce
salgo, poi mi sporgo
cado
volo
T’ho intravista, prima,
sembravi vigile mentre passeggiavamo.
Mi hai chiesto mille volte l’ora
ti sei stupita della primavera.
Mille volte dei tuoi cari
non ho potuto dirti che non ci sono più.
Mille volte di tornare a casa
quella con le tende, hai detto,
ti sei commossa
ma non so di che.
T’ho intravista, prima,
sei stata vigile per un attimo
Ti sei stupita della primavera
che ieri, difatti, ancora non c’era.
Per favore, ditemi, quando non eravamo ancora così cattivi, a cosa andava la grazia della nostra attenzione?
Godevamo allo stesso modo di un verso profondo, di una pagina ben scritta?
I pensieri ci facevano scoppiare il cuore, invece che di rabbia, di tenerezza?
Quando non avevamo l’astio pronto sui polpastrelli, di cosa nutrivamo l’orgoglio e il bisogno di appagamento?
E se l’assenza di qualcuno o la mancanza di qualcosa ci stringevano la gola, a chi lamentavamo la profondità di quel sentimento?
Quando stampavamo fotografie, a chi concedevamo il privilegio di osservarle?
E quando piangevamo per un dispiacere, la spalla che raccoglieva il nostro lutto era familiare o sconosciuta?
Per favore, ditemi, si può tornare indietro?
@ giusi d’urso
Silenzio, coriaceo guscio di noce che cela
ribellioni mansuete e consunzioni
programmate.
Nessuno turbi gli sguardi
assenti, né le cartilagini consunte.
I sorrisi aspri dell’adolescenza hanno disilluso
promesse di vita felice. Rimane
il digiuno, oltre l’emaciato silenzio
sulla pelle bluastra e sottile, di donna pentita
che, muta, torna bambina
contando grammi
di malinconico abbandono.
© giusi d’urso
È il sapore metallico del bacio
a fare languidi gli amanti.
Mescolare odore con odore,
attendere il respiro della vicinanza.
Ricerca l’identità nell’altro
che scompone e ricompone di singole alchimie
chimiche nuove e di natura effimera.
È il bisogno di capirsi con il tatto
a farne strumento di preziosa conoscenza.
L’ingannevole rispetto di distanze
che lascia tempo all’immaginazione,
come se nonostante le ali sulla schiena, volessimo
scalare a piedi la montagna, per dire poi
di quella impresa
la fatica dell’ardore e la dolcezza del rimpianto.
© giusi d’urso
La fanciulla degli anni settanta è donna fatta.
Ha lottato a lungo, mille volte ha detto basta.
Le strade ha percorso urlando la sua libertà,
ha dato esempio di forza e corenza.
Libera, il seno accorato e prodigo,
ha atteso che il mondo la ascoltasse.
Fiduciosa, ha creduto nel nuovo millennio.
Ci crede ancora, stanca, nell’autunno della sua bellezza.
E guarda con fiera amarezza le fanciulle d’oggi
che ancora devono lottare.
© giusi d’urso
Suddivido il tempo in lembi
di cera e buona volontà.
Senza il sole si lavora meglio
ma il silenzio è feroce.
Lo edulcoro con bocconi di pace domestica.
Fra il dovere e la scrittura, il piacere
di poter scegliere
parole e persone,
senza rimorso alcuno.
C’è il calore della mia genìa
che con gli anni accoglie,
senza mortificare, dolori inevitabili
dell’accondiscendenza al tempo.
E mentre passa lo suddivido in lembi
intrecciando attese disilluse e parche.
Tutto ciò, vi giuro,
in cuor mio speravo.
© giusi d’urso
Mi piacciono le persone concrete e le giornate con qualche novità.
I progetti che mettono di buonumore e il rumore di scarpe sulla strada.
Mi piacciono le maestre autoironiche,
i ragionieri romantici, i cammini difficili da fare in compagnia.
Più siamo diversi e meglio è.
Gli ombrelli appoggiati a sgocciolare, i punti cardinali, gli scivoli lucidi dei giardinetti quando piove.
Mi piacciono i libri sconosciuti e quelli noti a tutti, il sapore che lasciano in bocca le primizie,
le foderine trasparenti dei quaderni di scuola, il piglio convinto degli educatori e il cuore generoso e schivo dei saggi.
Mi piacciono le mani rugose dei vecchi, la forma imprevedibile delle nuvole.
La convinzione di chi litiga e la mitezza di chi risponde col sorriso.
Mi piacciono i minuti dell’attesa davanti alla scuola e il viso acerbo e affamato degli adolescenti.
Ma più di tutto, mi piacciono i colori e il privilegio di vederli tutti.
Più siamo diversi e meglio è.
© giusi d’urso
C’è un pensiero che insiste e dice
di sé
cose che non chiedo, né desidero.
Se non arriva il giorno impazzirò.
Chi avrà mai colto il senso di una storia che desta
il sonno più profondo e insiste
per quelle stanze che d’improvviso sono
luminose come una primavera?
Chi sa per certo da dove arrivano le storie?
Le accolgo, assonnata, senza
la volontà di ricucire i lembi sgualciti del sonno
e, con memoria recente, scrivo senza penna né tastiera.
Scrivo di getto, rapida e schiva, l’urgenza ustiona
la pelle, tormenta le ore da qui all’alba, fino
al frutto amatissimo.
Poi, m’acquieto. Lo disconosco e a volte
lo detesto.
Fortissimamente. Taccio per ore
felice dopo il tormento.
©giusi d’urso