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La scena perfetta – Racconto su Enne2 Rivista

D’inverno, un braccio ingessato ha i suoi vantaggi. Ad esempio, il braccio resta al caldo.

Arturo, detto Turo, si aggira di notte nei pressi della stazione. Cosa ci faccia lì, noi non lo sappiamo. Ma lo vediamo camminare con quel passo dinoccolato lungo il binario numero uno e ogni tanto fermarsi a guardare un tabellone, una pubblicità, imprecare – lo sentiamo – davanti al distributore di acqua e tramezzini.

Turo è destro, si vede dai movimenti davanti al distributore di acqua e tramezzini, nella zona della tastiera e del raccogli-monete. Non trova niente, nessuno ha lasciato resti, nessuno ha dimenticato tramezzini. Si sposta ancora più in là, lungo il binario, rimesta dentro un cestino dei rifiuti, procede senza nessun bottino fino a una panchina di cemento, sfregando la mano destra sul pantalone per scaldarla.

La panchina è occupata. Qualcuno si è sdraiato su dei cartoni e si è coperto con una trapunta logora.

Turo fa il giro della panchina. Allunga la mano destra e scuote la persona sdraiata. Quello salta in aria. Fa proprio un balzo dal cartone, con tutta la coperta sulle spalle, gli occhi sgranati che brillano nella luce gialla del lampione.

Continua a leggere: sul numero speciale “Tutti pazzi” di Enne2 eRivista letteraria

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#risvegli #secondapelle malattia

Abbattimenti

Steso per terra, massiccio pallido indifeso. Ancora caldo, non più vivo. Qualcosa di vitale. Un’orma tra le foglie, muschio sulla corteccia. Eri la mia quercia. E poi non eri più. Mi curvai sopra di te, la mia testa sul tuo petto. Il cuore fermo. Il cuore fermo. Stava accadendo. Mi chiesi quanto ci avrebbe messo l’amore a svanire dopo l’ultimo battito. Mi rispondo dopo vent’anni. Un muschio sempreverde, un’orma fossile. Oltre i battiti. Non è materia marcescente. Ancora è qui.

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#altrove #secondapelle #testolibero malattia malattia, ansia paura Scrittura

Mille cose che brillano

Da poco più di un mese ogni mattina al risveglio mi passo una mano sul seno destro. È il mio ultimo campo di battaglia, tangibile, di carne e pelle. Ce ne sono stati altri, negli anni, che non si vedono e che non posso toccare. Sono stata operata a dicembre, ma la battaglia è cominciata mesi prima, sotto il sensore ecografico della mia senologa che a un tratto smette di conversare e si avvicina al monitor con l’aria compunta. Qualcosa non la convince, dice che vuole rifarmi l’ecografia con un altro apparecchio. Ci spostiamo in un’altra stanza, mi stendo su un altro lettino, sotto un altro sensore. Lei seria, continua a studiarmi, l’anno scorso andava tutto bene, l’addensamento non c’era. Io non chiedo niente, io so già. Lo so per mia madre, per le donne che vedo nel mio studio e mi raccontano, per le statistiche che sono oracoli, perché ho l’età in cui accadono queste cose a tante di noi. Non dico niente, attendo che lei si decida a dare un responso, il via a una fatica che è già iniziata da quando ha smorzato la sua consueta cordialità e ha assunto quel piglio pensieroso. Continua a leggere su AlPassoCoiTempi