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#secondapelle #testolibero

Trovare il nome alle cose

Stamani, prima di ogni cosa, sono andata a camminare in campagna. Il canneto si è agghindato dei fiori lilla della cicoria selvatica. Le lumache, sentendo la pioggia vicina, sono uscite dal verde, hanno attraversato il sentiero lasciandosi dietro le tracce umide di bava. Il campo che l’anno scorso era di girasoli, adesso è pieno di spighe dorate che, in alcuni punti, sono sdraiate per il sonno notturno di qualche animale. I rovi hanno già i loro piccoli fiori rosa pallido e la borragine resiste in certi angoli fitti, vellutata e blu. E poi, sul ciglio del sentiero, certe nuove fioriture viola che richiamano api e farfalle. Tornata a casa sono andata a cercarne il nome. Veccia villosa, si chiama la pianta, un legume coltivato come foraggio, ma che spesso si trova selvatico lungo i camminamenti.
Ho pensato, camminando, a certi cambiamenti che segnano il tempo. Quando si racconta, ricordi prima di quella certa cosa, oppure, fu dopo l’anno del… Ho pensato alle piccole ferite, un punto di sutura che traspare ancora da un tratto nascosto di pelle; al privilegio di accogliere le storie degli altri, di sentire nel petto certe emozioni che risuonano, si riconoscono, imparano da quelle altrui, vibrano insieme. Sentimenti specchio.
Ho pensato alla fortuna e al coraggio di chiamare ogni cosa col proprio nome.
La scrittura mi ha insegnato la precisione, la biologia ha risposto quasi sempre alle mie curiosità. Ciò che di insoluto è rimasto non può cambiare l’accaduto, non lo può peggiorare, non lo può migliorare. Può solo dare pace ai giorni a venire, a patto che gli si trovi un nome. Il più preciso possibile.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante fiore e natura
Veccia villosa – immagine dell’autrice
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#risvegli #secondapelle

Il compiaciuto intero

Sono fortunata, io, con le mie due metà, l’una cresciuta a pane e parole e l’altra tirata su a chimica organica e biologia. Mi colloco in quella parte del mondo immaginario di cui qualcuno non sa dire nulla se non che o fai una cosa oppure ne fai un’altra. Lo stesso mantra che per anni mi son sentita predicare mentre studiavo e lavoravo insieme. Avere due metà così prolifiche invece è un privilegio. Il risultato, un compiaciuto intero.
Lo tratto bene, io, il mio privilegio. La biologia è materiale di scrittura creativa, la propensione alle parole è strumento per raccontare la biologia. Le mie metà vanno d’accordo fra di loro e, stranamente, anche con quella parte di me che sa essere esigente e tenace fino all’ossessione, creativa e rigorosa come le due metà le ordinano da sempre. Che poi scrivere non è che una delle mappe a disposizione di chi nasce e comincia a viaggiare fuori da sua madre. È come il remo che spinge avanti la barca, la luna che illumina il giardino. La musica che colma e risolve il silenzio cupo.

Ho la fortuna di insegnare e di aiutare le persone a fare del loro cibo strumento di salute. E non è forse il buon cibo come le parole? Nutre, sazia, gratifica. Non c’è dicotomia ma fratellanza, lo penso ogni volta che qualcuno me ne chiede conto. Ma come fai, come concili? Non avverto alcun bisogno di conciliazione. Non chiedo salvezza da questo dimezzamento. Qualora si arrivasse allo scontro (a volte capita) l’accolgo, mi faccio campo di battaglia, lascio procedere le fazioni contrapposte; e prendo il meglio dalle due metà, ne faccio un tappeto, una cesta, un maglione. Qualcosa che mi torni utile sul momento o in futuro. Accade sempre. Accade per natura che arrivi il momento di ringraziare il fato.

Le mie metà non sono causa dell’insonnia che a cicli viene a visitare le mie notti. Credo che accada il contrario: è l’insonnia a costruire fra loro ponti e cerniere, che le rende forti e le struttura nell’intesa di una fratellanza. È l’insonnia, sono tutti i pensieri che contiene a fortificare delle due metà diversità e congruenze. Due palazzi che si sorreggono fra loro.

È sempre stato così. È la carne che viene da mia madre e da mio padre. Non ho mai trascurato la scrittura e la lettura quando sembravo dedita completamente alla biologia. Non ho tralasciato la mia scienza-fondamento quando ho dedicato tempo alle parole. È solo questione di occasioni e di possibilità. E di quell’arbitrio libero e incondizionato che mi fa scegliere di concedere spazio e tempo alle due metà che mi compongono, che mi fa dire sono entrambe me, fino al midollo. Riconoscerlo è terapeutico. Accettarlo inebriante.

© giusi d’urso
immagine di Hakeen James Hausley