L’accesso dal piccolo terrazzo sul retro è il più sicuro, oltre che il più semplice. La porta finestra è classica, maniglia d’alluminio e serratura facile, di quelle che basta una forcina, ci si fa anche con i guanti di polietilene.
N. lo sa, ha studiato i particolari il giorno prima.
La coppia è uscita presto, come ogni giorno. N. ha aspettato che il condominio fosse di nuovo silenzioso, dopo le colazioni, dopo le uscite frettolose, le lagne dei bambini, i baci asciutti delle coppie. Andate tutti in culo, ha pensato, levatevi dalle palle che ho da fare.
Si è dovuto arrampicare poco, fino al piano rialzato; più che un’arrampicata è stata una passeggiata. Gli scemi stanno così bassi e non hanno neanche una serratura di sicurezza. Con quella, magari a un secondo o terzo piano, si sarebbe divertito di più. Ma adesso è dentro, bisogna sbrigarsi e e tornare giù.
Non c’è l’ansia, questa volta, a dargli quel brivido alla nuca, a metà fra il solletico e il dolore; forse solo una lieve vertigine che si esaurisce non appena N. mette piede nell’appartamento.
Il tavolo della cucina è ancora apparecchiato, due tazze con il fondo del caffè appiccicato, le briciole dei biscotti sulla tovaglia stampigliata male, roba scadente, da negozio cinese. N. storce la bocca. A casa sua, la mattina, c’è sempre una tovaglia pulita, perfettamente stirata; prima di uscire si rimette tutto a posto, sua madre odia trovare la cucina in disordine al rientro la sera. Sua madre odia sentire suo padre urlare e sbattere le porte per la cucina in disordine al rientro la sera.
N. procede verso la zona notte curiosando fra i ripiani dei mobili e gli armadi. Il letto è sfatto. Questi maiali vanno via così al mattino, come se non dovessero mai rientrare, come se la casa fosse un dormitorio. In bagno c’è un accappatoio per terra, un ciuffo di capelli lunghi e scuri a forma di s nel lavabo. N. con l’indice gli dà la forma della sua iniziale e fa una smorfia di disgusto.
Torna in camera da letto. Ha portato una sporta di stoffa, di quelle che sua madre accumula nei cassetti; ne porta a casa almeno una ogni volta che riesce a prendere un treno e andare a una fiera del libro. Al ritorno la svuota subito, strappa gli scontrini perché suo padre non monti su una scenata su quelle spese inutili, la piega e la ripone con le altre. Sono belle, dice, ecologiche, si lavano in lavatrice a freddo. Ecco, pensa N., dopo la lavo in lavatrice e gliela rimetto a posto, che tutta presa com’è dalle camicie di mio padre, manco se ne accorge.
Tiene in una mano la borsa e si concentra sulla cassettiera interna dell’armadio. Un paio di anelli d’oro, niente brillanti, molta bigiotteria. Avranno una cassaforte, da qualche parte, dietro il solito quadro insignificante, ma non gli interessa. Qualche abito firmato, un paio di cravatte Armani, due foulard Gucci, un orologio, ecco, un Garmin che forse vale la pena portare via.

Ha già finito e non si è divertito. Come la volta scorsa, si chiede perché lo ha fatto.
Sbuffa, sfila il cellulare dalla tasca, dà un’occhiata alle notifiche. Si appoggia alla parete vicino alla finestra, ascolta un audio di V., che la sera prima non si è neanche accorta di straparlare, fra una pasticca e una vodka alla pesca. Ha la voce da oltretomba, non si capisce niente, forse si starà chiedendo anche lei perché fa certe cose.
N. rimette il telefono in tasca e con un dito scosta appena la tenda, attirato dal rombo di una moto. È lontana ma non troppo, sta arrivando. Guarda il palazzo di fronte, le finestre sono tutte chiuse. In strada, due passanti vanno di corsa, sguardo in terra, sono già spariti.
La moto si avvicina, N. ne immagina il modello, Yamaha YZF-R1, vediamo se indovina. Sorride, pregusta il momento in cui la vedrà sfrecciare giù in strada, ecco un divertimento. Rombo di tuono gli viene in mente, e Chuck Norris che non c’entra niente, che film di merda. N. sorride, ecco che arriva, rombo Yamaha, quanto è bella. La vede sbucare dall’angolo e avvicinarsi veloce e nervosa. Poi, lo schianto. Poi un silenzio che sembra il posto migliore per depositare le domande.
Perché la vecchia ha attraversato proprio adesso? Da dov’è sbucata? Vedi che succede, nonna, a sbagliare il momento, ti ritrovi con la testa rotta. Mia nonna, invece, è morta nel letto di un ospedale che manco c’ero, e mi è dispiaciuto, ecco. Ho sbagliato il momento, come te. Ce l’hai un nipote, tu, oppure abiti da sola?
N. ha spostato lo sguardo sulla moto che dopo aver fatto un mezzo giro per terra, inclinata sul ginocchio del centauro, si è fermata. L’uomo ha alzato un attimo la visiera del casco, ha fissato la donna immobile sull’asfalto, si è guardato intorno ed è ripartito a gran velocità. Rombo di tuono.
N. lo ha seguito con lo sguardo osservando la ruota posteriore della moto sgusciare un po’ a destra, un po’ a sinistra fino a riprendere l’equilibrio perfetto.
La vecchia è rimasta sull’asfalto. Nessuno ha visto nulla. N. guarda con attenzione la facciata del palazzo di fronte, una finestra dopo l’altra, niente, nessuno.
Scuote la testa. Cazzo, che moto.
Invece, una finestra di fronte, al terzo piano ha un lembo di tenda scostato appena. L. vede la vecchia per terra, la macchia rossa che si allarga sotto la testa, e un’ombra dietro le tende della finestra al piano rialzato. I coniugi F. sono usciti anche stamattina, come al solito, di corsa, salutandosi con la consueta freddezza e la solita espressione annoiata. L. alza le spalle e le lascia ricadere espirando dalle narici dilatate, mentre toglie il grembiule e lo appende alla spalliera di una sedia.
La vecchia è immobile. Non avrà sofferto. L. pensa che di tutte le morti che aveva immaginato per lei, conclude che quella è la migliore.
Si cambia le scarpe, scende nell’atrio ed esce dal retro.
N. si allontana dalla finestra, va verso la cucina. C’è un gran silenzio, solo il rumore ovattato delle sue scarpe di gomma sul pavimento. Fra poco, immagina N., qualcuno urlerà, poi arriverà un’ambulanza, poi la polizia. Ma adesso in questa cucina c’è un gran silenzio; vorrebbe sedersi un attimo, farsi un caffè, dire a qualcuno che non ce la fa più. Invece si dirige rapido verso la porta finestra. Poi, all’improvviso si ferma, torna indietro alla tavola apparecchiata, impila le tazze e le ripone nell’acquaio.
2 risposte su “Rombo di tuono”
Bello e avvincente
Grazie per aver letto e apprezzato