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Venezia, città dell’assenza

Ieri sera, anzi stanotte, ho terminato la lettura de “Il peso dell’assenza“, romanzo di Gianluigi Bodi, in uscita il 26 aprile per Les Flâneurs Edizioni. Ho avuto l’occasione, il dono direi, di leggere questa storia prima della pubblicazione e mi sono subito resa conto che dovevo abbandonare la mia consueta postura di lettrice vorace. Pur trattandosi di un romanzo non particolarmente corposo, quindi, mi sono concessa un tempo di lettura lento, e anche ieri sera, come ho fatto sin dalla prima pagina letta, ho atteso che tutti dormissero e che la casa fosse immersa nel silenzio.
Ecco qualche riflessione su questo libro che spero abbia il successo che merita.

Qualche accenno alla trama. Il protagonista del romanzo, che è anche la voce narrante, cerca di ricostruire una storia mentre si aggira per Venezia in preda a un’immensa nostalgia per Silvia, la donna che ha amato. Ma i suoi ricordi, procedendo nella narrazione, diventano tessere difficili da collocare. Così la vita passata sembra un puzzle impossibile, la cui ricostruzione è resa ancora più caotica e dolorosa dalla comparsa improvvisa di un personaggio molto particolare: un clown di nome Barrante. Ogni volta che Barrante appare accadono cose terrificanti, Venezia subisce terribili trasformazioni; le calli, le piazze, i campanili e i ponti esplodono e riducono in mille pezzi i paesaggi cari e familiari al protagonista. I cocci rimasti non restituiscono alcuna memoria, anzi la devastano, la destrutturano sempre di più. L’uomo allora è costretto a ricominciare da capo, ogni mattina, tentando di venire a capo della storia, cambiando sestiere, evitando come può l’apparizione improvvisa di Barrante, sperando di richiamare alla mente la sua Silvia e le cose vissute insieme. Ma ogni volta accade qualcosa che lo riporta nel caos e lo costringe a ripetere il tentativo di nuovo e ancora, come Sisifo col suo masso.
Andando avanti nel racconto, anche i personaggi si modificano: nell’aspetto, nei dialoghi, ma soprattutto nel ruolo e nelle relazioni, tanto che il protagonista stenta a posizionarli e contestualizzarli. Piano piano tutto sembra sgretolarsi e ricomporsi altrove, in una realtà parallela difficile da afferrare: lo sgomento del protagonista diventa anche quello del lettore che a un tratto si ritrova a girovagare, anch’egli disorientato, per una Venezia irriconoscibile e attraverso una narrazione non più lineare.

E’ una storia che procede per dolorosa sottrazione, per ripetuti sgretolamenti, quella raccontata da Bodi, e che affronta temi importanti. In primo luogo, lo scorrere del tempo, topos eterno e universale. Come può l’uomo rallentare l’inesorabile macchina temporale e afferrare nuovamente la felicità di certi momenti passati? Come può trattenerli nella sua mente e trasformarli in consolazione se sfuggono così rapidamente e senza rimedio? Ed ecco l’altro tema fondante del romanzo, cioè la memoria. Quando il tempo divora ogni cosa senza lasciare alcuna traccia nei nostri ricordi, la vita si riduce a uno stato di costante disorientamento, nel terrore di non avere più appigli, nell’ansia terribile che un clown dispettoso e cinico distrugga tutto ciò a cui siamo legati. Cosa resta quando la memoria si sgretola? Rimane, appunto, il peso della sua assenza: senza la memoria siamo aloni lasciati da quadri dismessi, frantumati, mai più recuperati.

Per leggere questo libro ho avuto bisogno di un silenzio pressoché totale. Alla fine, ho accompagnato mentalmente la lettura degli ultimi capitoli con Concerto in do minore di Anonimo veneziano, per affezione al film, al successivo romanzo di Berto e per mille altri motivi che non sto qui a spiegare. Ho mantenuto quella musica e quella storia fra i pensieri, insieme alla Venezia decadente, alla consapevolezza amara di una fine imminente e dei sentimenti che legano le persone al di là delle avversità e oltre il tempo.
L’armonia struggente dell’oboe ha accompagnato il mio immaginario di lettrice de “Il peso dell’assenza” fino a tarda notte, insieme alla commozione per questa storia che Gianluigi Bodi ha scritto con grande delicatezza e rispetto. Non era facile maneggiare una materia così fragile, ma Bodi, autore attento e profondo, ci è riuscito.

Gianluigi Bodi è nato 1975. Nel 2013 ha fondato il blog letterario Senzaudio. Nel 2015 ha vinto il concorso del Festival letterario CartaCarbone con il racconto Perché piango di notte. È stato due volte finalista al contest 8×8. Suoi racconti sono apparsi su numerose riviste, oltre che nelle raccolte I giorni alla finestra (Il Saggiatore, 2020) e Ti racconto una canzone (Arcana, 2022). Ha curato due antologie di autori vari, Teorie e tecniche di indipendenza (Verbavolant, 2016) e Hotel Lagoverde (Liberaria, 2021). Nel 2023 ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti, Un posto difficile da raggiungere (Arkadia).  Il peso dell’assenza è il suo primo romanzo.
(dal sito dell’editore)



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Vivere è un viaggio senza mappe – Un posto difficile da raggiungere, G. Bodi

Ho letto con molto interesse l’esordio di Gianluigi Bodi. Lo aspettavo e mi ha fatto molto piacere, soprattutto dopo aver apprezzato i suoi racconti pubblicati su varie riviste letterarie e l’antologia Hotel Lavoverde che ha curato per LiberAria Editrice. La raccolta “Un posto difficile da raggiungere”, pubblicata da Arkadia Editore nella collana SideKar, è interessante per diversi motivi. Bodi racconta la vita “piccola” e il suo gusto dolce-amaro. I personaggi sono individui comuni, spesso introversi, che si misurano con i loro sogni, i loro segreti e con le vite degli altri. C’è un male di vivere sottile in ogni storia, la difficoltà di identificarsi, di collocarsi e riconoscersi un ruolo, un’utilità, un senso nel contesto in cui si vive. Sullo sfondo, in ogni storia, si dispiega un mondo ricco di contrasti, convenzioni, incongruenze, ma anche di meraviglie inattese. La città, la casa, il bosco, la fabbrica, l’ufficio, il bar aiutano a contestualizzare le storie e a dare tridimensionalità ai protagonisti. Ce n’è uno, di protagonista, ubiquitario nella raccolta, onnipresente nella vita di tutti i personaggi: è la solitudine. Solo è l’impiegato, sola la moglie del vecchio in bicicletta, solo in vecchio stesso, solo l’operaio, così come il figlio del padre pretenzioso, la neolaureata, la donna anziana, l’architetto. È una solitudine, la loro, profonda e a volte incompresa, spesso invisibile agli altri. Un sentimento (un personaggio, dicevo) offuscato dalle regole sociali, tenuto nascosto per pudore o imbarazzo. Ma se si analizzano i personaggi che Bodi fa vivere fra le pagine della sua raccolta ne individuiamo il ruolo: si tratta quasi sempre di una solitudine protettiva, necessaria a riprendere il filo della propria vita, a trovare soluzioni lontani dal frastuono del mondo. È una casa, uno spazio intimo dedicato al ragionamento, alla cura dei pensieri, un luogo in cui riprendersi ciò che davvero conta, oppure un grande specchio in cui osservarsi e riconoscersi. Non ci sono mappe chiare e predeterminate da seguire per trovare il proprio posto nel mondo, questo dice Bodi con i suoi racconti, non esistono scorciatoie o regole prescritte; al contrario ci sono il libero arbitrio, il caso, l’autodeterminazione, gli errori come monito, il futuro come sogno, la curiosità, l’ambizione, la rivalsa, l’invidia, il rimorso e la solidarietà. Direi l’armamentario sentimentale umano, complesso e dinamico, che fa di ogni relazione, soddisfacente o meno, un’esperienza che lascia le sue tracce, e di ogni esistenza un’impresa unica.
Bodi è un ottimo narratore, la cui scrittura limpida aiuta a orientarsi in certi labirinti. Leggere (e rileggere) questa raccolta è stato svuotare un sacchetto di biglie sul pavimento e seguire con curiosità le direzioni di ognuna, o se preferite, seminare a spaglio una miscellanea di sollecitazioni e attenderne i germogli. Ci vuole tempo, ci vuole solitudine, uno specchio interiore, orecchio per le vibrazioni. Ho apprezzato ogni riga, ogni storia, ogni personaggio, e tuttavia, come sempre mi accade davanti a una raccolta, ho individuato il mio racconto preferito. Quale sia, però, è un segreto fra me e il libro.

Gianluigi Bodi
(Dal sito di Arkadia Editore)
Nato nel 1975, ha vissuto a Cavallino-Treporti (Venezia) fino a che non si è trasferito in provincia di Treviso nel 2009. Lavora all’Università Ca’ Foscari del capoluogo lagunare, nella quale si è anche laureato in Lingue e letterature straniere. Nel 2013 ha fondato il blog letterario “Senzaudio”. Nel 2015 ha vinto il concorso indetto dal festival letterario CartaCarbone con il racconto Perché piango di notte. È stato inoltre finalista nel 2018 e nel 2021 al contest “8×8, si sente la voce”. Da allora ha continuato a scrivere e i suoi racconti sono apparsi su “Il primo amore”, “Pastrengo”, “Altri Animali”, “Narrandom”, “Malgrado le Mosche”, “Rivista Blam!”, “Spaghetti Writers”, “Ammatula”, “Spazinclusi”, “Crack” e su altre riviste letterarie sia digitali sia cartacee. Nel 2020 un suo racconto breve è stato incluso nella raccolta I giorni alla finestra (Il Saggiatore). Ha curato le antologie Teorie e tecniche di indipendenza (VerbaVolant, 2016) e Hotel Lagoverde (LiberAria, 2021). Un suo scritto è stato inserito in Ti racconto una canzone (Arcana, 2022). Collabora con il sito web del Premio Comisso sul quale tiene la rubrica “Venetarium”.

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#secondapelle Scrittura

Un bosco, un lago, un hotel – Recensione- Hotel Lagoverde

AA. VV., Hotel Lagoverde
LiberAria Editrice, 2021

Mi capita spesso di immaginare un luogo in una dimensione parallela alla realtà in cui fare e dire cose che qui, nel mio oggi, non trovano né spazio né tempo. Un luogo-non luogo, in un tempo-non tempo in cui sperimentare un’altra vita, un altro lavoro, un’altra me stessa. Mi capita di figurarmi questo posto come un bosco in cui mi addentro e mi perdo, imboccando percorsi inesistenti sulle mappe, come un Pollicino scientemente sprovvisto di briciole e sassi con cui segnare la strada del ritorno.
Così, presa dalla curiosità mi sono addentrata anche questa volta e, cammina cammina, ecco un bosco, un lago e un hotel.

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