Cose corruttibili

Stamani sono uscita presto. Mi sono svegliata con un’energia insolita e ho fatto un giro largo in bici. Il tempo promette pioggia e spero con tutto il cuore che pioggia sia.
Leggevo Levi, prima, a casa, qualche pagina de Il sistema periodico che ho a portata di mano da molti mesi. Finisco e ricomincio a leggere senza soluzione di continuità; è magico, ogni volta sembra un libro nuovo. Il capitolo Cerio, dunque, lantanide, elemento delle terre rare. Leggevo di un barattolo senza etichetta, cosa insolita in un laboratorio chimico tedesco; della ricerca di una confezione adeguata al trasporto clandestino di un materiale barattabile. C’è una pagina meravigliosa sulla corruttibilità degli imballaggi naturali: la membrana cellulare, il guscio dell’uovo, la buccia delle arance. Non esisteva il polietilene, scrive Levi, flessibile, leggero e incorruttibile, così incorruttibile che “il Padre Eterno medesimo, che pure è maestro in polimerizzazioni, si è astenuto dal brevettarlo: a Lui le cose incorruttibili non piacciono”.
Leggevo di un certo tipo di fame che rende bestiali e corruttibili, insieme a speranza e disperazione alternantesi a un ritmo “che avrebbe stroncato in un’ora qualsiasi individuo normale. Noi non eravamo normali perché avevamo fame”. E a causa di quella fame Primo Levi dovette imparare a rubare. Non il pane degli altri, scrive, ma merce che poteva scambiare con del pane per sé.
Continuo a pensare a questa frase, non il pane degli altri, e al senso del limite, prezioso più del cerio, molto più del polietilene.

Il cielo si è rabbuiato un altro po’. Ho messo la bici al riparo, gesto superfluo: una bella acquata, confesso, al ritorno la prenderei volentieri.

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