Da ragazzina ero così minuta e leggera che il vento forte mi portava via. Come quel giorno in cui, all’uscita di scuola, lungo la strada del ritorno, ero presa da pensieri pesanti e zavorre di responsabilità fuori posto, fuori tempo. Minuti intensi di cammino quotidiano, percorso due volte al giorno, avanti e indietro, in cui la mia mente acerba toglieva attenzione a dispute amorose e compiti di scuola per assaggi precoci di amarezza.
Ebbene, quel giorno tirava un vento così forte che si stentava a credere fosse naturale. Mi sentii abbracciare alle spalle, zainetto compreso, e sollevare giusto il tempo di un piccolo sgomento, per recuperare subito dopo il contatto sicuro col terreno e con i pensieri del ritorno a casa. Mi guardai intorno: c’erano testimoni della disobbedienza del mio corpo alle leggi della gravità? Non c’era nessuno. Sorrisi del fatto che a raccontarlo non mi avrebbero creduto e tenni per me quel senso di fulminea esaltazione: cuore pesante e corpo leggero. Ero stata capace di volare. Ancora, a volte, mi riesce.
© giusi d’urso