L’albero

img_1128Un giorno, vidi un ragazzo salire su un grande albero. Una pianta bella e maestosa, con grandi rami e tronco possente, di cui s’immaginano radici robuste e pervicaci sondare le viscere misteriose del suolo. A guardarlo da lontano, l’albero sembrava immobile e perfetto. Da vicino, superando quella vertigine che alzando gli occhi ci fa esperire il baratro del cielo, la vita, con la sua finitezza e il suo tempo, mi apparve com’era. Il tronco, a tratti, era scorticato. I rami avevano trovato soluzioni alternative, forse alla siccità e all’arsura, assumendo pose estreme. Un corpo gigantesco, popolato da comunità animali varie e laboriose. Dagli insetti agli uccelli (e forse anche qualche scoiattolo), era un movimento continuo e brulicante tra le fronde rigogliose. Lunghe file indiane di formiche indaffarate percorrevano verticalmente la corteccia, con la stessa rapidità e disciplina in entrambi i sensi, scomparendo dalla mia vista, dentro tunnel naturali disseminati lungo il tronco, per poi riemergere in un punto distante dal mio sguardo.
Vidi, quel giorno, un ragazzo salire agile su quell’albero. I piedi, dopo il primo slancio convinto da terra, penzolarono un attimo nel vuoto, per poi ritrovare appigli nelle prime intersezioni dei rami più bassi. Lo vidi cercare un nuovo baricentro in alto, lontano dalla certezza del suolo, sfuggendo alla disciplina della gravità, con l’ambizione della salita e il sogno segreto del volo. Cavalcioni sul ramo più possente, non guardò mai in basso, ma verso le fronde alte, invidiando, forse, i sussurri delle foglie e i guizzi degli uccelli.
D’improvviso cominciò a piovere e corsi a cercare un riparo. Di sicuro scese anche lui, subito dopo. Tornando lì dopo la pioggia, infatti, non lo ritrovai. Sentii però, in attesa nell’aria, la segreta ambizione di procedere oltre. Ne presi in prestito un’inezia e ancora gliene sono grata.

© giusi d’urso

 

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